Andare al cinema di mattina dava un
senso di estraneazione.
Dopo la proiezione, uscire nella piena
luce di un mezzogiorno domenicale a volte soleggiato, confondeva le idee, la
mente avvezza da sempre, dopo le fantasmagorie di un film ad
affondare nel buio della sera con i lampioni, la nebbia invernale, il lastricato
umido.
Gli occhi, già arrossati dal fumo di
cento sigarette nella platea concava del Cinema Quinto, si serravano prima di
riadattare la pupilla al sole. Da via Tommaso Stigliani si scivolava nel Corso
a piccoli gruppi per gli ultimi commenti sul film, per uno struscio
ridotto fra maxi-cappotti a quadroni, le grosse sciarpe, qualche eskimo, il pacchetto delle
paste sul braccio, prima di tornare a casa.
Il cinema.
In quegli anni la TV di Stato trasmetteva
un film il lunedì alle 20,30 sul primo canale e uno al martedì alle 21 sul
secondo e, per non togliere pubblico alle sale cinematografiche, mandava in
onda solo film abbastanza datati; i cinefili quindi erano i primi a comprare la
tessera del Circolo amici del cinema che organizzava la rassegna
cinematografica di proiezioni di film d’autore nelle domeniche invernali alle
10 del mattino. Il costo era contenuto e la tessera, autenticata dalla
presidente Giovanna Garulli, aveva una impaginazione semplice e di immediato fascino nella
sua fragilità cartacea: a volte, estratta cento volte nuda dalle tasche, non
arrivava intera al bollino del secondo ciclo.
Non solo cinefili affollavano quegli
incontri mattutini nel Cinema Quinto: ragazzi, professori, militanti della
sinistra, gente impegnata che si appassionava alle storie, gente che voleva
capire.
Dopo il film, il mitico Michele Ferrara apriva il
dibattito con un suo intervento stimolatore. E si parlava di cinema, di
politica, di giovani, di liberazione culturale, di diritti, di borghesia
retriva e conservatrice, di Mezzogiorno e di sogno socialista, di un mondo
migliore, autentico, aperto: da costruire insieme.
Fra i tanti, ricordo distintamente un
cupo film di Marco Bellocchio, “Nel nome del padre” con Renato Scarpa,
Lou Castel, Laura Betti ambientato in un collegio maschile orientato alla
repressiva educazione cattolica da Controriforma che suscitò un dibattito tanto
sentito che ci trattenne nel Cinema sino alle 14, al punto che la maschera
venne a cacciarci via che ormai era passata l’ora di pranzo. La discussione
proseguì il giorno successivo nell'ora di Storia dell’arte al liceo Duni,
con la Prof. Anna Macchioro, intellettuale di prim'ordine, già moglie di Ernesto De Martino, dotata di una cultura vastissima.
Ho ritrovato il film, dopo averlo
cercato per anni. Lo tengo su CD da forse 108 anni, ma ancora non ho trovato il
giorno giusto per rivederlo. Forse non lo farò mai.
Ma al cinema Quinto di domenica
mattina con Andrea Gemma che mi ha prestato questa sua tessera conservata
tutti questi anni e con Michele, Giovanna, Pino, i fratelli Ricciutello e
i Saponaro, Anna, Gianni e tutti gli altri, ci tornerei.
Ci tornerei anche subito, a rivederli,
quei film. Tutti.
E a discutere con i compagni.
E a sognare di nuovo quel mondo
migliore che si deve essere perso per strada, nella nebbia, all'uscita dopo un vecchio
film.
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